Potere del recruiter: quanto ne ha davvero? Miti e verità (da un ex selezionatore)

Una delle domande più frequenti (e meno espresse) che ogni candidato si pone, e che spesso ci vengono fatte in qualità di coach di carriera riguarda l’effettivo potere del recruiter, ed è proprio questa:

“Quanto conta davvero il recruiter nel processo di selezione? Chi decide la mia assunzione?”.

Molti candidati vivono il recruiter con frustrazione, vedendolo come un “muro” o un ostacolo burocratico che impedisce loro di arrivare alla persona che conta davvero.

Potere del recruiter: quanto ne ha davvero? i due lati della verità degli specialisti in ricerca e selezione del personale

Da ex recruiter (sia d’agenzia e sia interno alle imprese), posso dirti la verità: la situazione è complessa. Il potere del recruiter è reale, ma spesso non è quello che i candidati immaginano. Capire chi hai di fronte è la prima mossa strategica per gestire il processo ed esercitare il tuo, di potere!

Potere del Recruiter Consulente vs. HR Interno

Non tutti i recruiter sono uguali. La prima differenza fondamentale sta in chi è il loro cliente.

  • Il Recruiter Consulente (Agenzia di Selezione): Lavora per una società di consulenza (come quelle specialiste o di head hunting che abbiamo visto). Il suo cliente è l’azienda esterna che gli affida la ricerca. Il suo obiettivo è “chiudere il mandato”, ovvero trovare il candidato giusto che l’azienda assuma.
  • L’HR Interno (Talent Acquisition / In-house Recruiter): Lavora dentro l’azienda che vuole assumere. Il suo cliente è il manager di linea (es. il Direttore Marketing, il Responsabile IT) che ha bisogno di una nuova risorsa.

Entrambi, in qualche modo, devono rendere conto a un cliente. Ma il loro “potere” si manifesta in modi diversi.

Il vero potere del Recruiter: il “Potere di Veto”

Sgombriamo il campo da un mito: il recruiter (soprattutto il consulente esterno) raramente ha il potere decisionale finale. Non può “convincere” un cliente ad assumerti se il manager di linea non è convinto.

Tuttavia, il recruiter ha potere di veto: un potere molto forte.

"Tu non passerai" - storico meme tratto da Il Signore degli Anelli, con Gandalf: è la frase non vuoi sentirti dire da nessuno specialista in ricerca e selezione del personale!
“Tu non passerai” – storico meme tratto da Il Signore degli Anelli, con Gandalf: è la frase non vuoi sentirti dire da nessuno specialista in ricerca e selezione del personale! Potere del recruiter!

Ancor più influente è il responsabile delle selezioni (gli assessment centre): lo specialista che cura l’ultimo miglio dell’intero processo di ricerca e selezione, confermando chi è idoneo e chi no prima dell’assunzione definitiva. Anche se tale attività in Italia è diventata sempre meno frequente o meno intensa a causa delle politiche di riduzione costi delle imprese, tale ruolo può essere ricoperto sia da un manager interno dedicato, sia da un consulente esterno (es. solitamente uno psicologo del lavoro che non svolge alcuna “caccia” di talenti ma si limita solo alle selezioni, grazie alla totale assenza di pregiudizi e di conflitti di interesse con i recruiter veri e propri).  Il consulente esterno ha ancora più autorevolezza rispetto al semplice recruiter o head hunter ma, se non è assunto in azienda con quel ruolo specifico, non può determinare chi viene assunto.

In ogni caso, il consulente esterno non è pagato per presentare al suo cliente decine di CV, ma per presentare una “short list” di 3-5 candidati validi (o al massimo una mappatura con delle graduatorie). Il suo lavoro principale è il filtro.

Infatti, se da un lato non ha il potere assoluto di farti assumere, il recruiter ha potere assoluto di tagliarti fuori dal processo. Se ti comporti in modo arrogante, se non sei professionale, se il tuo profilo è palesemente inadeguato, il recruiter eserciterà il suo veto e il tuo CV non arriverà mai sulla scrivania del decisore finale.

“Perché i recruiter mi ignorano?” La realtà dietro le quinte

Molti candidati sviluppano un vero astio verso i recruiter, etichettandoli come incompetenti che fanno muro. La verità, come sempre, sta nel mezzo.

  • Alcuni recruiter sono inesperti: Sì, è vero. Come in ogni professione, esistono recruiter junior, sovraccarichi di lavoro o semplicemente poco competenti, che gestiscono male i processi e i candidati.
  • Altri sono “incatenati” dal cliente: Molto più spesso, il recruiter (specialmente il consulente) appare incompetente solo perché deve obbedire a paletti nascosti imposti dal cliente e che non può rivelarti. Richieste irrealistiche, budget che cambiano all’ultimo, requisiti segreti (es. “lo voglio solo dall’azienda X”) costringono il recruiter a scartare candidati validi per motivi che sembrano illogici.

La “lista nera” non è un mito: come i candidati si “bruciano” da soli

Questo è uno dei segreti meglio custoditi del settore. Molti candidati si comportano in modo non professionale, convinti che non ci siano conseguenze.

  • Fanno “ghosting” (spariscono dopo aver fissato un colloquio).
  • Accettano un’offerta e poi non si presentano il primo giorno.
  • Si mostrano arroganti o sprezzanti durante i colloqui.

Quello che non sanno è che, nell’era digitale, le tracce restano. I recruiter parlano tra loro. Le note sui gestionali (ATS), le email, le chat di team su LinkedIn o WhatsApp creano uno storico anche quando la memoria personale può vacillare.

Comportarsi in modo scorretto non ti esclude solo da quel processo di selezione, ma rischia di “bruciarti” la reputazione con quell’agenzia o quell’HR per anni. Ti stai rendendo la vita professionale molto più complicata, e stai facendo tutto da solo.

Per contro, comportarsi in modo professionale tramite puntualità, precisione, rispetto e seria motivazione aiuta i recruiter a capire che stanno investendo il loro tempo e la loro reputazione professionale sulla persona giusta. Da qui potrebbero aiutarti anche per le future occasioni se il cliente finale ha scelto altri candidati solo per il proprio gusto personale.

Il potere del recruiter-HR in azienda: dal burattino al partner strategico

E per quanto riguarda l’HR interno (Talent Acquisition Manager, In-house Recruiter)?

Qui lo scenario cambia molto a seconda della struttura aziendale:

  • Nelle PMI familiari: È vero, a volte l’HR interno ha un’autonomia decisionale limitata ed è un esecutore che risponde direttamente agli ordini del titolare. Il potere è concentrato al vertice.
  • Nelle aziende strutturate e multinazionali: L’HR (o Talent Acquisition) è un partner strategico. È il custode della cultura aziendale e del processo. Il suo “no” pesa quasi quanto quello del manager di linea. Se l’HR ritiene che tu non sia in linea con i valori aziendali, difficilmente arriverai al colloquio finale, anche se il tuo CV tecnico è perfetto.

La mossa ad alto rischio: posso “scavalcare” il recruiter?

Sapendo questo, alcuni candidati si chiedono se non sia meglio “bypassare” l’HR o il recruiter e contattare direttamente il manager di linea o il titolare.

È una mossa da “tutto o niente”:

  • Quando può funzionare: In una PMI poco strutturata, dove parlare direttamente col titolare può abbreviare la trafila.
  • Quando è un disastro: In un’azienda strutturata. Se scavalchi l’HR per scrivere al Direttore Marketing, hai appena offeso l’HR (facendolo passare per incompetente) e infastidito il Direttore (che si vedrà costretto a inoltrare la tua mail all’HR, rimettendoti al punto di partenza). Hai appena commesso un grave errore di valutazione della gerarchia aziendale.

Non c’è una formula precisa: alcuni nostri candidati sono riusciti a trovare ottime opportunità di lavoro così, mentre gli HR non facevano altro che tenerli in stand-by, mentre altri hanno ricevuto pessime reazioni e non c’è modo di dirlo prima. Con grande cautela mi sento di consigliarti di accollarti il rischio di scavalcare gli HR quando vedi che le selezioni stagnano. Il che non ti impedisce di fare rete anche con gli altri manager all’interno delle imprese!

Quanto potere ha il candidato nella ricerca e selezione?

A questo punto, potresti chiederti quanto potere hai tu, piuttosto! Se le imprese e le agenzie fanno a gara per attrarre i talenti migliori, allora potresti pensare di avere anche tu una certa dose di potere. E in effetti non sbagli, perché in un certo senso le imprese e le agenzie hanno bisogno di te. Ma, senza girarci intorno, sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico! E tutto dipende da quanti altri candidati ci sono con le tue stesse competenze e profilo, quanto loro sono in una condizione di bisogno e quanto tu sei in una posizione di forza per poter dettare delle condizioni. Paradossalmente, oggi autisti di mezzi pesanti ed artigiani capaci (saldatori, elettricisti etc.) sono merce rara ed hanno un potere maggiore rispetto a tanti manager vista la sovrabbondanza di laureati! Quindi puoi usare l’aumento di consapevolezza che ti ha dato questa guida per orientare il tuo comportamento e sfruttare al massimo le occasioni che ti si presentano!

Domande Frequenti (FAQ)

Chi ha l’ultima parola sull’assunzione: il Recruiter, l’HR o il Manager? L’ultima parola spetta quasi sempre (99% dei casi) all’Hiring Manager, ovvero il manager di linea (il tuo futuro capo). Tuttavia, il potere è distribuito: il Recruiter/HR ha il potere di veto (decide chi non far arrivare al colloquio finale) e, in aziende strutturate, l’HR ha un “no” che pesa quanto quello del manager se non ritiene il candidato allineato alla cultura aziendale.

Che differenza c’è tra recruiter e “selezionatore” (assessment)? Il recruiter (consulente o HR) gestisce l’intero processo: trova i candidati (caccia), fa il primo filtro e gestisce la relazione. Il “selezionatore” o “assessor” (spesso uno psicologo del lavoro) è uno specialista che interviene solo alla fine, per validare la “short list” con test o colloqui approfonditi (assessment). Non ha potere di assunzione, ma il suo parere negativo ha un’autorevolezza enorme ed è quasi sempre vincolante.

La “lista nera” dei candidati è un mito? Non è una “lista” fisica, ma le tracce restano. I moderni software di recruiting (ATS) e le note condivise tra colleghi (email, chat) creano uno storico. Fare “ghosting” (sparire) o comportarsi in modo arrogante non ti esclude solo da quella selezione, ma danneggia la tua reputazione a lungo termine con quell’agenzia o quell’azienda.

Conviene davvero scavalcare il recruiter per parlare col manager? È una mossa ad alto rischio. In un’azienda strutturata, è quasi sempre un disastro: offendi l’HR e infastidisci il manager. In una PMI poco strutturata, a volte può funzionare. Come regola generale: è un rischio da correre solo come “ultima spiaggia”, se vedi che il processo di selezione è palesemente bloccato da mesi per inefficienza dell’HR.

Conclusione: Il Potere non è Mai Assoluto, è un Equilibrio

In questo articolo abbiamo smontato un mito. Il potere del recruiter non è quello (assoluto) di assumerti, ma quello (potentissimo) di escluderti.

Smettila di vederlo come un nemico o un ostacolo insormontabile. Guardalo per quello che è: il gatekeeper (il “Gandalf” del processo) che decide chi merita di sedersi al tavolo con il decisore finale.

Il tuo obiettivo non è sconfiggerlo, ma trasformarlo in un alleato.

Come? Esercitando il tuo, di potere. Il potere della professionalità: trattalo con rispetto, sii onesto, puntuale e rendi il suo lavoro facile. Dimostragli che sei un candidato serio su cui può scommettere la sua reputazione con il cliente finale (interno o esterno).

Quando un recruiter capisce che sei un professionista affidabile, smette di essere un “muro” e diventa il tuo più grande sponsor per quella e per le future opportunità.

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